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Dal 1° maggio 2017 i veicoli che viaggiano in Austria lungo la A12 tra Kufstein e Zirl, dovranno dimostrare a quale classe di inquinamento ambientale appartengono.  A tal fine, le autorità austriache hanno predisposto un bollino ecologico che esonera i veicoli Euro 6 dal divieto settoriale e, almeno fino al 30 aprile 2017, anche gli euro 5.

All’interno delle “aree IG-L-ban” delle classi Euro3, 4, 5 e 6 dal 1° maggio tutti i veicoli dovranno avere il bollino posto sulla parte destra del parabrezza, di colore variabile a seconda della classe Euro del veicolo:

 – Bollino giallo Euro 3

 – Bollino verde Euro 4

 – Bollino azzurro Euro 5

 – Bollino viola Euro 6

Chi circola senza bollino sarà soggetto ad una sanzione dell’importo fino a circa 2.200 euro.

Sarà possibile acquistare il contrassegno in Austria direttamente presso enti autorizzati e per la classificazione dei veicoli è necessario presentare documenti quali carta di circolazione, certificato di omologazione, annex CEMT.

Sempre sulla A12 tra Kufstein e Zirl è in vigore anche un divieto notturno di circolazione per i mezzi pesanti oltre le 7,5 t con le seguenti modalità:

– dal 1° maggio al 31 ottobre: dalle ore 22,00 alle ore 05,00;

– dal 1° novembre al 30 aprile: dalle ore 20,00 alle ore 5,00;

– le domeniche e i giorni festivi – durante l’intero anno – dalle ore 23,00 alle ore 5,00.

Hanno l’obbligo del bollino ecologico anche i veicoli Euro 6 esentati dal divieto notturno, sempre dal 1° maggio 2017.

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In data 24 marzo il Ministero dell’Interno ha emanato una circolare esplicativa in merito alle aziende che hanno fatto o che faranno la formazione relativa al Cronotachigrafo.

L’applicazione del regolamento 165/2014, quindi la non redazione del verbale relativo alla corresponsabilità dell’azienda sulle infrazioni commesse dai propri conducenti nei casi previsti.

La stessa Direzione generale, con circolare n. 2720 R.U. del 13.02.2017 ha dettato le prime disposizioni esplicative ed attuative (All. 2), ipotizzando che il corretto adempimento degli oneri di formazione, istruzione e controllo da parte delle imprese possa essere valutato anche dall’Autorità di controllo quale circostanza esimente della loro responsabilità, ai fini dell’applicazione delle predette sanzioni.

Sul punto, se da un lato non può non prendersi in considerazione il Decreto dirigenziale richiamato all’inizio, attuativo delle norme comunitarie secondo le quali gli Stati membri possono subordinare la responsabilità dell’impresa all’adempimento degli oneri di formazione, istruzione e controllo e tenere conto di ogni prova atta a dimostrare che la stessa non può essere ragionevolmente considerata responsabile dell’infrazione, dall’altro occorre tenere conto che la responsabilità dell’impresa, per le infrazioni commesse dai loro conducenti, può essere del tutto esclusa allorché unitamente a tali oneri la stessa impresa abbia organizzato la loro attività in modo che essi possano rispettare le disposizioni del Regolamento (UE) n. 165/2014 e del Capo II del Regolamento (CE) n. 561/2006.

In altri termini, non è sufficiente formare, istruire e controllare, occorre anche ben organizzare l’attività dei conducenti.

Possono ritenersi infrazioni lievi quelle che non rendono manifesta una disfunzione organizzativa, quali sono ad esempio quelle relative al Regolamento (CE) n. 561/2006 definite come infrazioni minori (IM) nell’allegato III del Regolamento (UE) 2016/403 della Commissione del 18 marzo 2016, che integra il regolamento (CE) n. 1071/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la classificazione di infrazioni gravi alle norme dell’Unione che possono portare alla perdita dell’onorabilità del trasportatore su strada e che modifica l’allegato III della direttiva 2006/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (All. 3).

Naturalmente, in tali casi la decisione di non contestare all’impresa l’art. 174, comma 14, C.d.S., può essere adottata direttamente dall’organo di polizia stradale qualora si dia prova, nell’immediatezza del controllo e comunque prima della redazione del verbale, anche dell’adempimento degli oneri di formazione, istruzione e controllo attraverso i documenti previsti dal Decreto dirigenziale in esame.

In tutti gli altri casi, invece, si procederà alla contestazione dell’art. 174, comma 14, C.d.S., rimettendo la valutazione in ordine alla responsabilità dell’impresa al Prefetto o al Giudice di Pace in sede di ricorso ex articoli 203 e 204-bis, C.d.S., esprimendo parere favorevole al loro accoglimento ogni qualvolta si dia prova non solo dell’adempimento degli oneri di formazione, istruzione e controllo ma anche del fatto che l’infrazione non è imputabile a insufficienze organizzative dell’attività dei conducenti da parte della stessa impresa, rispetto alla quale va valutata positivamente la produzione, nei casi previsti, di un contratto di trasporto in forma scritta o di istruzioni scritte compatibili con le norme in esame.

Circolare Prot. n. 300-A-2438- 17-111-20-3 - in merito alla formazione sul Cronotachigrafo

 

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Qualche giorno fa  dalla Sicilia arriva un’altra decisione della polizia che condanna il titolare di azienda per manomissione cronotachigrafo. Anche se, a dirla tutta, non scagiona completamente il conducente.

Il fatto

Domenica mattina un camion veniva fermato dalla polizia stradale di Buonfornello sulla A19 Palermo-Catania, per la precisione nell’area  di sosta Caracolli Sud. Alla guida un autista di 36 anni, nel semirimorchio un carico di patate da andare a consegnare. Gli agenti però si accorgono dai dati scaricati che il tachigrafo non dice il vero e così, verificata la strumentazione in officina, viene appurato che in realtà la centralina del camion non trasmetteva i dati al tachigrafo, in quanto a deviarli interveniva una sorta di bypass, un circuito parallelo che poteva essere attivato e staccato a piacimento dell’autista attraverso un telecomando rinvenuto in cabina. In questo modo, l’uomo riusciva a coprire lunghe tratte internazionali (verso Spagna, Francia e Germania) rimanendo alla guida dalle 12 alle 18 ore consecutive.

A quel punto gli agenti decidevano di denunciare il tutto alla magistratura con l’accusa di manomissione di strumenti finalizzati a garantire la sicurezza sul lavoro, così come previsto dall’art. 437 del codice penale. Un’accusa però che non andava a colpire soltanto l’autista, ma anche il titolare della ditta di autotrasporto con sede a Messina. In più per entrambi scattava una sanzione pecuniaria di 1.936 euro e, soltanto per il conducente, anche la decurtazione di 10 punti dalla patente.

Insomma, sembra di assistere a un vero e proprio giro di vite che chiama in causa, a seconda dei casi, anche o soltanto i titolari delle aziende. D’altra parte, parliamo di un fenomeno che definire dilagante è forse riduttivo: i dati Istat relativi al 2015 parlano di più di 6.500 infrazioni sanzionate ogni anno per manomissione del tachigrafo. In pratica, considerando le 78 giornate di stop imposte dai divieti di circolazione, significa che ogni giorno vengono riscontrati 22,7 taroccamenti. A questo punto non rimane che verificare se questo cambio di registro possa ridurre questo numero astronomico.

fonte uominietrasporti

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Il corretto uso del Cronotachigrafo permette di evitare sanzioni, qualche volta anche molto elevate, come nel caso di un’azienda che è stata sanzionata per oltre 100.000 euro da parte degli organi di controllo, tutte le sanzioni erano riferite ad un unico mezzo e per un’unica infrazione

Da un’analisi approfondita dei dati le sanzioni erano perfettamente evitabili solo se si fosse stato frequentato un corso  sull’uso del Cronotachigrafo.

Il Decreto Dirigenziale 215 del 16 dicembre 2016 e la circolare attuativa 2720 del 13 febbraio 2017 ha dato le direttive per effettuare corsi specifici sul Cronotachigrafo per evitare  gli improvvisatori di corsi su questo argomento senza conoscerlo profondamente, oggi le strutture che possono emanare questa tipologia di corsi sono state definite dal Ministero.

Per quanto riguarda i costi qualcuno (autoscuole) ha già pensato al Business organizzando corsi da 250-300€ a persona, prezzo assurdo in tutti i sensi e va valutato per ogni azienda in base al numero dei dipendenti.

La nostra associazione ha stretto un accordo importante con un Ente di formazione, autorizzato dal Ministero e da docenti (anche loro autorizzati dal Ministero), proprio per venire incontro alle tante aziende che hanno necessità di fare formazione specifica sul buon utilizzo del Cronotachigrafo, in allegato la brochure esplicativa ed eventualmente la prenotazione del corso.

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Ancora una volta i sindacati stanno bloccando una pseudo crescita del paese.

Sì proprio così, perchè sui voucher non possono riscuotere le “tessere”, quindi vanno aboliti, sui voucher non possono fare rivendicazioni sindacali, quindi vanno aboliti, perchè sui voucher perdono il loro potere, quindi vanno aboliti, …ecc. ecc…

Si potrebbe continuare a scrivere un fiume di parole sul perchè i sindacati (CGIL in prima fila), combattono così fortemente questo sistema.

A mio giudizio il sistema voucher, andava adeguato, ma non eliminato, oggi se un’azienda ha necessità di un lavoratore lo deve assumere, e pensate che lo farà? NO, preferirà rinunciare a quel lavoro.

Comunque per chi li ha già acquistati, avrà tempo fino al 31 dicembre per utilizzarli.

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Le responsabilità contrattuali di un lavoratore dipendente nei confronti del proprio datore di lavoro rappresentano un argomento di costante attualità.

In relazione ai doveri di diligenza (art. 2104 c.c.), di fedeltà (art. 2105 c.c.) e di subordinazione (art. 2094 c.c.), nell’ipotesi di violazione degli stessi, in capo al dipendente sussiste non solo l’ipotesi di provvedimenti disciplinari a suo carico, ma anche eventuali responsabilità di ordine patrimoniale, che possono interessare cifre di denaro rilevanti.

Interessante, quindi, risulta un esame dell’istituto relativo ai doveri del dipendente e alle sue responsabilità.

 

Art. 2104 c.c. – Diligenza del prestatore di lavoro

Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale.

Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende.

 

LA RESPONSABILITÀ IN GENERALE

Per responsabilità si intende la posizione del soggetto a carico del quale la legge pone le conseguenze di un fatto lesivo di un interesse protetto.

Normalmente la responsabilità è per fatto personale (diretta) ma, in casi particolari, può derivare da fatti altrui (indiretta o oggettiva): è il caso della responsabilità del datore di lavoro per il fatto illecito del dipendente e della responsabilità per il fatto degli ausiliari (vedi art. 1228 c.c., ai sensi del quale il debitore risponde dei fatti dolosi o colposi dei soggetti di cui si avvale nell’adempimento dell’obbligazione).

La responsabilità può comportare l’obbligazione di risarcire il danno cagionato dal fatto proprio o altrui (responsabilità civile ex art. 2043 c.c.).

Altre conseguenze della responsabilità possono essere l’assoggettamento del responsabile ad una pena, prevista dal codice penale o dalle leggi penali speciali (responsabilità penale), oppure ad una sanzione amministrativa (responsabilità amministrativa).

 

LA RESPONSABILITÀ NEL RAPPORTO DI LAVORO DIPENDENTE

La legislazione sociale ipotizza diverse responsabilità penali, amministrative e civili non solo a carico del datore di lavoro, ma anche a carico del lavoratore dipendente, nell’ipotesi di violazioni di norme giuridiche.

Per quanto riguarda gli illeciti penali, i reati delittuosi o contravvenzionali più frequenti, che vedono protagonisti i dipendenti, riguardano le violazioni in tema di prevenzione infortuni ed igiene del lavoro e le infrazioni in tema di prestazioni sanitarie ed economiche nell’ambito di assicurazioni sociali ed obbligatorie (ad esempio indebita riscossione della CIG grazie all’alterazione di dati e ad altri modi truffaldini). Non si dimentichi che l’entrata in vigore della legge n. 689/81, sulla modifica del sistema penale, ha depenalizzato numerosi illeciti (trasformandoli da penali ad amministrativi), tra questi alcuni riguardanti anche ipotesi di responsabilità amministrativa dei dipendenti.

La responsabilità amministrativa comporta, a carico del trasgressore, l’irrogazione di una sanzione amministrativa, che di norma si risolve nel pagamento di una somma di denaro, ma potrebbe anche concretizzarsi nella sospensione dell’esercizio dell’attività lavorativa.

Una trattazione autonoma merita, poi, l’illecito civile derivante dalla violazione da parte del dipendente di norme contrattuali ed extracontrattuali che regolano il rapporto di lavoro. Ad essa fa riferimento l’art. 2049 c.c., il quale così recita: «l padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti». Dinnanzi a tali illeciti il datore di lavoro è legittimato ad esercitare, innanzitutto, il potere disciplinare che gli è riconosciuto dalla legge (art. 7 Statuto dei lavoratori). Inoltre, il datore di lavoro può richiedere al dipendente il pagamento del risarcimento del danno ingiusto, con onere della prova a carico del datore stesso, secondo la norma generale fissata dall’art. 2697 del codice civile.

 

Art. 2105 c.c. Obbligo di fedeltà

Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, nè divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.

 

LA RESPONSABILITÀ PER DANNI DEL LAVORATORE DIPENDENTE

Il lavoratore dipendente può fornire, alle volte, la sua prestazione al datore di lavoro con negligenza od imperizia e provocare così danni all’impresa.

Ci si è posti quindi il problema di cosa accada nell’ipotesi di inosservanza del dovere di diligenza, ai sensi dell’art. 2104 c.c.

Così recita la norma in esame: «Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale. Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende».

In caso di violazione di detto dovere, oltre ad attivare la procedura disciplinare (in casi estremi nella forma del licenziamento), il datore di lavoro può agire verso il lavoratore in via civile per la richiesta di una somma di denaro a titolo di risarcimento danno patito.

Pare pacifico che, quando il danno è cagionato da dolo, il datore possa esperire, nei confronti del lavoratore, l’azione di risarcimento danno secondo le regole comuni.

Diverso, invece, il discorso nell’ipotesi di colpa grave (anche se una parte di giurisprudenza, in materia, ha ravvisato la sussistenza della responsabilità per danni anche nel caso di colpa lieve; vedi, ad esempio, Cassazione, sezione lavoro, 22 maggio 2000, n. 6664, Ferrari c. Figoni, in Mass., 2000). Nessun dubbio dovrebbe sussistere, invece, circa la responsabilità in caso di danno prodotto per colpa grave.

Ricordiamo che, mentre il dolo consiste nell’aver previsto e voluto il danno causato all’impresa, la colpa è il frutto dell’inosservanza di leggi, ordini o discipline, o più semplicemente, di negligenza, imprudenza o imperizia. La colpa è, in ogni caso, esclusa quando il fatto si è verificato per caso fortuito o per forza maggiore. La distinzione tra dolo e colpa ha un’importanza pratica, dal momento che, in caso di sola colpa, sono risarcibili solo i danni prevedibili.

Art. 2094 c.c. Prestatore di lavoro subordinato

E prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.

 

ALCUNI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Interessante si presenta l’esame di alcuni casi giurisprudenziali. La Pretura di Mede Lomellina ha esaminato un caso tipico in materia e il 26 novembre 1966 si è espressa in tal senso, sentenziando che «il lavoratore subordinato non può essere tenuto al risarcimento dei danni verso il datore di lavoro, cagionati da imperizia o negligenza nell’esecuzione del lavoro, e ciò perché il mancato o cattivo rendimento della manodopera rientra nei rischi dell’impresa ed il datore di lavoro (anche nel caso di lavoranti a domicilio) ha tutte le possibilità (periodo di prova, successivi controlli, ecc.) di valutare le suddette qualità negative del lavoratore stesso.

Solo in caso di dolo o di violazione di specifiche direttive tecniche o norme disciplinari, può sorgere nel lavoratore una responsabilità per danni nei confronti dell’impresa.

Il preteso inadempimento contrattuale del lavoratore non può essere astrattamente misurato sulla capacità e sul rendimento dell’operaio tipo, quasi che un lavoratore fosse assimilabile ad una macchina di alta precisione, ma rispetto alla capacità e diligenza concreta dello stesso lavoratore, che il datore, in virtù della sua supremazia, esercitabile anche in esecuzione di lavoro a domicilio, è sempre in grado di accertare».

Autorevole in materia anche la sentenza della Cassazione del 20 luglio 1966, n. 1964. che così motiva una decisione:

«La violazione dell’obbligo di diligenza, specificatamente imposto al lavoratore subordinato dall’art. 2104 del c.c., importa, indipendentemente da eventuali sanzioni disciplinari, l’obbligo del medesimo al risarcimento del danno, che dalla sua condotta negligente o imprudente sia derivato al datore di lavoro, giacché il principio secondo cui quest’ultimo, in quanto trae vantaggio dall’attività svolta in suo favore dal prestatore di lavoro, deve subire i rischi e le conseguenze sfavorevoli, vale nei confronti dei terzi danneggiati ma non nei rapporti fra le parti.

L’imposizione da parte del datore di lavoro ad un impiegato del compito di guidare autoveicoli non può ritenersi i/legittima e tale da compromettere la dignità e il decoro del dipendente, talché anche dei danni derivanti dalla negligenza nell’esecuzione delle relative mansioni, il dipendente stesso deve rispondere al datore a titolo di responsabilità contrattuale».

Più recentemente, la Cassazione (Sezione lavoro, 16 maggio 2000, n. 6356) ha confermato che la violazione del dovere di eseguire la prestazione lavorativa nell’osservanza delle regole di correttezza e di diligenza costituisce un illecito aquiliano, in conseguenza del quale il datore di lavoro può agire in giudizio chiedendo il risarcimento del danno.

Il datore di lavoro, al fine di potere esercitare l’azione di risarcimento danno, assimilandola eventualmente alla procedura disciplinare, deve contestare, di norma, il fatto illecito al dipendente, con onere della prova (art. 2697 c.c.) a suo carico.

Il risarcimento del danno ipotizzabile a carico del lavoratore discende dall’applicazione della norma contenuta nell’art, 1218 del codice civile.

Dispone, infatti, il predetto articolo la responsabilità del debitore, il quale se «non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile».

 

Art. 1228 c.c. Responsabilità per fatto degli ausiliari

Salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si vale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro.

 

L’ONERE DELLA PROVA IN CASO Dl DANNI DEL LAVORATORE

In tema di risarcimento danni, richiesti dal datore di lavoro al lavoratore in caso di prestazione negligente, è fondamentale (come in qualsiasi lite) conoscere la disciplina dell’onere della prova.

Recita infatti il più volte citato art. 2697 c.c.: «Chi vuoI far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato ovvero estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda».

Ai sensi dell’art. 1218 c.c., poiché a carico dell’inadempiente grava una presunzione iuris tan tum di colpa, grava sul dipendente l’onere di dimostrare a sua discolpa, che l’inadempimento ai doveri nascenti dal contratto di lavoro non era a lui imputabile per una delle varie cause esonerative che l’ordinamento prevede.

Questa prova contraria del lavoratore si presenta piuttosto difficile laddove si accolga la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia.

La Corte infatti stabilisce che «ai fini dell’imputabilità dell’inadempimento del lavoratore ad obblighi specifici assunti con il contratto di lavoro, e, di conseguenza, ai fini dell’affermazione della responsabilità risarcitoria del dipendente, è sufficiente anche la sussistenza di una colpa lieve nel porre in atto le infrazioni accertate, la sussistenza cioè pure di una semplice leggerezza, equivalente a mancanza di diligenza delle mansioni contrattuali assunte».

La colpa lieve è configurabile nel caso di mancata osservanza delle istruzioni legittimamente impartite al dipendente.

Nel qual caso il giudice del merito nel ricercare il nesso di causalità tra il comportamento addebitato al lavoratore e il danno risentito dal datore, deve valutare la posizione del primo con riferimento alla sua qualifica professionale, alla natura delle incombenze affidategli, nonchéalle situazioni ambientali ed aziendali nelle quali egli esplica le sue mansioni (Cassazione civile, sezione lavoro, 29 novembre 1989, n. 5250).

L’art. 1218 c.c., di cui sopra esige sul piano psicologico la sussistenza almeno della colpa del debitore stesso, la quale può sussistere anche in caso di errore, allorquando tale soggetto non abbia usato la diligenza necessaria ad evitarlo.

Ogni valutazione al riguardo spetta al giudice del merito, il cui giudizio è incensurabile in sede di legittimità. se sostenuto da adeguata e corretta motivazione (Cassazione civile, sezione lavoro, 19 febbraio 1986, n. 1003),

Il regime dell’onere probatorio sopra delineato non subisce deroga nell’ipotesi in cui le mansioni del lavoratore richiedono l’affidamento di uno strumento di lavoro che rimanga danneggiato: nella specie, la Cassazione civile (12 febbraio 1979, n. 949) aveva addossato al datore di lavoro l’onere della prova che il ribaltamento di un autobus, affidato ad un dipendente per essere guidato lungo un determinato percorso, era dipeso da un difetto di diligenza nella guida (la Suprema Corte ha respinto il ricorso, enunciando il principio di cui sopra). Frequente è il caso del lavoratore, che, firmato il contratto di lavoro, non si presenti alla data pattuita per l’inizio della prestazione, né successivamente, senza darne preventiva comunicazione o giustificazione: egli è tenuto a risarcire il danno arrecato al datore di lavoro con il recesso ingiustificato dal rapporto, da quantificarsi nella misura corrispondente all’indennità sostitutiva del preavviso (Pretore di Prato, 9 novembre 1990).

E ammissibile, senza alcun limite, la compensazione giudiziale tra un credito del lavoratore derivante dal rapporto di lavoro e il credito del datore di lavoro per risarcimento di un danno derivante da inadempimento dello stesso contratto di lavoro, sempreché quest’ultimo risulti certo, liquido ed esigibile.

Da sottolineare che l’azione contrattuale diretta ad ottenere il risarcimento del danno deve essere tenuta distinta dal potere del datore di lavoro di irrogare sanzioni disciplinari perla totale diversità delle due ipotesi.

Infatti, in ipotesi di domanda di risarcimento danni proposta dal datore di lavoro nei confronti del proprio dipendente, fondata sulla responsabilità derivante dalla violazione dell’obbligo contrattuale di diligenza ex art. 2104 c.c., l’azione promossa non è condizionata dalla preventiva contestazione dell’addebito secondo la norma del l’art. 7, legge n. 300 del 1970, che riguarda esclusivamente la responsabilità disciplinare (Cassazione, sezione lavoro, 3 febbraio 1999, n. 950).

 

Art. 2043 c.c. Risarcimento per fatto illecito

Qualunque fatto doloso, o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.

 

LA PARTICOLARE RESPONSABILITÀ DEGLI AUTISTI

Una categoria particolare di lavoratori sono gli autisti dipendenti delle ditte di autotrasporti, il cui contratto di lavoro, in relazione all’alto costo dei mezzi ed ai rischi di incidenti stradali, ha formato oggetto e forma tuttora parte di lite giudiziaria di un certo rilievo.

Ragioni di prudenza consigliano le parti di garantirsi sul fronte delle responsabilità patrimoniali con adeguate polizze assicurative.

 

LA RESPONSABILITÀ DELL’AUTISTA

Agli effetti della responsabilità del lavoratore è rilevante l’osservanza delle norme sulla sicurezza della circolazione, fermo restando l’obbligo per il datore di lavoro di garantire le condizioni di piena efficienza dei veicoli.

A tal fine, l’autista è tenuto a dare tempestiva comunicazione (preferibilmente per iscritto) dei difetti e delle anomalie da lui riscontrate.

Copia delle polizze assicurative attivate sul tema devono, di contro, essere notificate dalla ditta agli interessati.

In tema di mansioni, il contratto di lavoro prevede che l’autista non debba essere comandato, né destinato ad effettuare operazioni di facchinaggio.

L’interessato, però, deve collaborare a che le operazioni di carico e scarico della merce dal mezzo, a lui affidate, siano fatte a regola d’arte.

L’autista è responsabile del veicolo affidatogli e, unitamente, dell’eventuale persona di scorta ed anche di tutto il materiale e delle merci ricevute in consegna; egli risponde degli eventuali smarrimenti e danni che siano a lui imputati, esclusi i casi fortuiti o di forza maggiore.

L’autista è responsabile in prima persona delle sanzioni a lui imputate per negligenza nella guida (violazione del codi ce della strada), anche se la ditta risponde in solido.

Nell’ipotesi che le parti (datore di lavoro e autista) concordino di presentare ricorso contro detti provvedimenti al giudice del lavoro, le spese legali sono a totale carico del datore.

Ad evitare ogni responsabilità, l’autista, prima di iniziare il servizio, deve assicurarsi che il veicolo stesso sia in perfetto stato di funzionamento e che non manchi del necessario e, in tal caso, deve darne immediato avviso, come detto, all’azienda, la quale ha l’obbligo di predisporre le condizioni affinché possa essere effettuato il servizio.

Legittimo deve ritenersi il rifiuto da parte dell’autista di utilizzare il mezzo quando non offre garanzie di efficienza.

 

IL RITIRO DELLA PATENTE

Il ritiro della patente, a causa di violazione di una norma del codice della strada, da parte della Prefettura ad un autista potrebbe causare anche il licenziamento dello stesso, nel l’ipotesi di colpa.

Diversamente egli avrà diritto alla conservazione del posto di lavoro per un periodo di sei mesi senza percepire alcun compenso.

Durante detto periodo, l’interessato potrà essere adibito ad altri lavori e, in questo caso, percepirà la retribuzione del livello nel quale viene a prestare servizio.

Nelle aziende che occupano fino a sei dipendenti il datore di lavoro provvederà ad assicurare a sue spese l’autista contro il rischio del ritiro della patente per un massimo di sei mesi.

Nelle aziende (in base al contratto di lavoro della categoria) che occupano più di sei dipendenti, oltre alla conservazione del posto, l’azienda dovrà adibire l’autista a qualsiasi lavoro, corrispondendogli la retribuzione propria del livello cui viene adibito.

Nell’ipotesi che il ritiro della patente si prolungasse oltre i termini sopracitati, oppure l’autista non accettasse di essere adibito al lavoro cui il datore lo destina, si fa luogo alla risoluzione del rapporto di lavoro.

In tal caso, all’autista verrà corrisposto il trattamento di fine rapporto (tfr), tenendo conto della retribuzione percepita nel livello cui il dipendente apparteneva prima del ritiro della patente.

Ciò nei termini previsti dalle consuetudini aziendali in tema di pagamento delle retribuzioni ai dipendenti.

 

Art. 2049 c.c.  Responsabilità dei padroni e dei committenti

I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenzea cui sono adibiti.

 

 Art. 7 Statuto dei lavoratori Sanzioni disciplinari

Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano

Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa.

Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato.

Fermo restando quanto disposto dalla legge 15 luglio 1966, n. 604, non possono essere disposte sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro; inoltre la multa non può essere disposta per un importo superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di dieci giorni.

In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa.

Salvo analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavoro e ferma restando la facoltà di adire l’autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni successivi, anche per mezzo dell’associazione alla quale sia iscritto ovvero conferisca mandato, la costituzione, tramite l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, di un collegio di conciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto, nominato dal direttore dell’ufficio del lavoro. La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio.

Qualora il datore di lavoro non provveda entro dieci giorni dall’invio rivoltogli dall’ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce l’autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio.

Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione.

 

DOVERI DEL DATORE E DEL LAVORATORE IN TEMA Dl SICUREZZA DEL LAVORO

Il principale destinatario degli obblighi in tema di sicurezza del lavoro (prevenzione infortuni ed igiene del lavoro) è senza alcun dubbio il datore di lavoro. Spetta all’imprenditore, infatti, come capo dell’impresa (art. 2086 c.c.), organizzare l’attività nel rispetto delle norme in materia, con l’istituzione dell’organigramma aziendale, la stesura e la distribuzione dei piani di sicurezza aziendale e del piano sanitario, nonchéeffettuare periodicamente la verifica dei rumori e quant’altro sia utile alla difesa dell’integrità fisica sua e dei collaboratori.

Diversamente, specie in caso di infortuni o di malattie professionali causate da inosservanze in materia, scattano delle responsabilità penali, amministrative e civili, nonostante l’assicurazione Inail.

In tema di sicurezza del posto di lavoro, in tutte le aziende ed in particolare nelle attività dove le statistiche indicano elevati indici di infortuni e malattie, la collaborazione fra rappresentanti della ditta e lavoratori non può che essere totale ed andrebbe codificata, come in molte aziende si svolge, con del tempo dedicato al tema, così da assolvere anche l’onere di formare ed informare.

Norma chiave resta l’art. 2087 c.c. che così recita: «L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».

Il lavoratore dipendente ha interesse a sollecitare il proprio datore di lavoro alla scrupolosa osservanza delle norme, talchè sul tema, di norma, dovrebbe sussistere unità di intenti.

La Corte di Cassazione, in una pronuncia del 6 febbraio 2000, così si è espressa: «La responsabilità del datore di lavoro che è tenuto alla predisposizione e all’adozione di tutte le misure idonee a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore ha natura contrattuale, con la conseguenza che, al fine della risarcibilità del danno biologico, grava sul lavoratore l’onere di provare l’inadempimento del datore di lavoro all’obbligo di adottare le suddette misure di protezione.

Inoltre il lavoratore deve provare sia la lesione all‘integrità psico-fisica sia il nesso di causalità tra tale evento dannoso e l’espletamento della prestazione lavorativa» (Cassazione civile, sezione lavoro, 5 febbraio 2000. n. 1307, in Giust. Civ. 2000, pag. 664).

Quindi la circostanza che sia avvenuto un infortunio nell’ambiente di norma definito «di lavoro» non comporta di per sé automatica responsabilità del datore di lavoro.

Invero è indispensabile, ai fini della corretta imputazione del fatto (al datore o al lavoratore), un esame concreto della singola fattispecie, cioè un’analisi del comportamento concretamente tenuto dalle parti, soddisfacendo quel particolare onere probatorio che incombe, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2087 e 2697 del codice civile, non essendovi alcuna deroga del legislatore in materia, su quella parte che vuol far valere un diritto in giudizio.

La giurisprudenza è inoltre unanime nel ritenere che nemmeno l’art. 2087 c.c. configuri un’ipotesi di responsabilità oggettiva, dovendo la responsabilità del datore di lavoro essere comunque ricondotta alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento (Cassazione 21 ottobre 1997, n. 10361; Cassazione, sezione lavoro, 3 aprile 1999, n, 3234, in Gius. 1999, XII, 1575; Cassazione 29 marzo 1995, n. 3740, in Lav, Giur 1995, IX, 865) e che è pur sempre necessario che siano ravvisabili nella condotta del datore di lavoro profili di colpa a cui far risalire il danno all’integrità fisica patito dal dipendente (Cassazione 2 settembre 1997, n. 3455, in Gius. 1997, XIV, 1721).

In particolare, poi, il Supremo Collegio ha anche affermato che «in tema di infortuni sul lavoro, quando risulti accertato l’errore grave del dipendente, a seguito di comportamento anormale, non potendosi ritenere sufficiente alcuna cautela atta a tanto scongiurare, deve giudicarsi non punibile il datore di lavoro, per inesigibilità di una condotta non obiettivamente prevedibile» (Cassazione 5 dicembre 1988, n. 11973).

 In conclusione, in capo al lavoratore dipendente, in un contratto di lavoro, sussistono dei diritti, ma anche degli obblighi. Obblighi che, se violati possono far sorgere delle responsabilità rilevanti.

Per questo motivo è bene che gli stessi siano ricordati dai datori di lavoro attraverso il regolamento aziendale da notificare a tutti i dipendenti per l’opportuna conoscenza.

 

Fonte Montesissa & Celli

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A seguito dell’emanazione della circolare del 16 febbraio 2017 (in allegato), è stato ulteriormente chiarito come organizzare e svolgere i corsi di formazione sul funzionamento e corretto utilizzo dei cronotachigrafi.
La circolare, inoltre, indica che:
  • le imprese di trasporto sono responsabili per le infrazioni commesse dai rispettivi conducenti, ma gli stati membri possono subordinare tale responsabilità all’infrazione degli obblighi imposti alle stesse imprese (formazione, informazione, monitoraggio e pianificazione).
  • l’assolvimento degli oneri di istruzione e di controllo da parte dell’impresa, costituiscono un elemento di importante valutazione per le autorità ai fini dell’applicazione dell’art. 174 c. 14 del Codice della Strada.
PMIA in accordo con Artigianato Piceno, Ente di Formazione con propri docenti certificato dal Ministero dei Trasporti come ente abilitato ad erogare la necessaria formazione sul cronotachigrafo, sul corretto utilizzo e sulla normativa sui tempi di guida e riposo. PMIA provvede per conto delle proprie aziende clienti a produrre sia l’analisi periodica che il mansionario obbligatori e prescritti dalla normativa in tema di informazione dei conducenti professionali.
Proprio per supportare le aziende negli adempimenti normativi e nell’ottimizzazione e pianificazione dei viaggi, organizza numerose sessioni di formazione sia presso le proprie sedi sia presso le sedi delle aziende, mettendo a disposizione tutta la propria esperienza, giurisprudenza raccolta negli anni e valutando per le aziende eventuali possibilità di finanziamento della formazione.
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Giro di vite della Polstrada contro il cabotaggio abusivo, una piaga che sta mettendo in ginocchio il settore degli autotrasporti, già piegato dalla crisi economica. In una sola giornata sono state elevate tre maximulte sulla A28 per un totale di 17 mila euro.

Gli agenti della Polstrada di Pordenone hanno sorpreso una decina di giorni fa tre mezzi pesanti con targa e conducente slovacchi in violazione della normativa sul cabotaggio. Multa da cinquemila euro per ciascun autotrasportatore. In un caso si è aggiunta una sanzione amministrativa da 2.065 euro perché la documentazione era incompleta.

In sostanza un autista di un altro Paese dell’Unione europea può effettuare per conto terzi soltanto tre trasporti nazionali dopo che ha varcato – a carico pieno – il confine italiano. Per aggirare la normativa, le aziende di autotrasporti (anche italiane) aprono la sede legale in paesi europei dove il costo della manodopera e la tassazione sono inferiori.

Il salario di un autotrasportatore slovacco è, per esempio, pari a un terzo rispetto a quello dei suoi colleghi italiani. L’azienda poi ingaggia gli autotrasportatori stranieri per ben più di tre spedizioni nazionali: spesso si fermano un mese intero in Italia. Non tutti, però, vengono scoperti.

Questa prassi sottrae commesse e lavoro agli autotrasportatori locali.

«È concorrenza sleale – osserva Mauro Beccaro, presidente degli autotrasportatori per conto terzi in seno a Confartigianato Pordenone –. Non riusciamo a essere competitivi nei confronti delle aziende straniere: siamo oberati di tasse. Senza contare che sosteniamo spese fisse molto più alte, dal gasolio ai contributi per il personale. Le aziende delocalizzano e si trasferiscono in paesi dove le imposte fiscali sono più basse. Ora, poi, dobbiamo fare i conti anche con gli autotrasportatori stranieri ingaggiati dalle agenzie interinali all’estero: gente che non ha mai fatto un corso di formazione. Tante nostre imprese hanno dovuto chiudere i battenti: noi autotrasportatori siamo l’anello di congiunzione fra tutti i settori economici. Giocoforza abbiamo risentito pesantemente della crisi. Il mercato italiano è fermo, soltanto chi lavora con l’estero riesce a sopravvivere. I pagamenti ci arrivano dopo 150 giorni».

Quale la soluzione? Secondo Beccaro l’unico sistema è ridurre la pressione fiscale, affinché anche le ditte italiane possano riacquistare competitività. «Il governo nazionale – conclude Beccaro – non tutela la nostra categoria. Pensiamo alla Francia: Oltralpe gli autostrasportatori stranieri devono dimostrare di aver pernottato in un albergo. Qui invece capita di vederli dormire sul camion nelle piazzole di sosta. Il giorno prima dell’ingresso in Francia devono inviare una mail comunicando targa del veicolo e tragitto. Basterebbe tracciare i mezzi pesanti stranieri con i tutor e il telepass in autostrada, come abbiamo richiesto più volte. Nessuno, però, ci ascolta».

fonte il messaggero veneto